L'Opera dei pupi ieri oggi e domani


L'Opera dei Pupi, e chi se la ricorda più? Emblema e simbolo della Sicilia oppure souvenir da quaranta euro? A giudicare dal forum dei Rotary che si è svolto sabato 29 marzo all'Excelsior è viva e dà' anzi segni di risveglio. E' viva per Gianni Arcidiacono, il vulcanico presidente del Rotary Catania Nord che ha raccolto a Catania i principali continuatori della tradizione che affonda le sue radici nella originalissima rielaborazione che i siciliani fecero della Chanson de Roland e poi degli straordinari poemi di Ariosto e Tasso, trasferendo il mito di Orlando e Rinaldo e della meravigliosa Angelica e trasformandolo in rappresentazione viva, col supporto di un'altra straordinaria creazione esclusivamente siciliana: i pupi appunto, marionette corazzate e barbute, impennacchiate e ondulate mosse dall'alto con un virtuoso gioco di fili e corde e cordicelle. Ora Arcidiacono, che sta per dare alle stampe una monumentale storia dell' "Opra", ha dimostrato che il genere che pure pareva estinto con l'avvento della televisione, e destinato nella migliore delle ipotesi a musei e collezioni, ha ripreso vita: "L'Opera non è morta. Da Alcamo a Siracusa a Sortino, da Caltagirone a Palermo a Catania e nuovamente adesso anche a Messina, in Sicilia si può assistere nuovamente all'Opera dei Pupi quasi ovunque".
  I motivi? Un po' la cocciutaggine di quei siciliani abbarbicati alla tradizione, seppur individualisti e litigiosi, e l'altro la fantasia, che non ci manca. Cosi è potuto succedere che nel 1969 il giovanissimo Mimmo Cuticchio si ritrovò a Parigi assieme al padre, il capostipite della gloriosa famiglia palermitana dei pupari, e lì respirò aria nuova. Vide che lo spettacolo funzionava, nelle caves di Saint Michel, rimase e tornò con una convinzione: che l'opera dei Pupi era viva e vegeta, solo che non bisognava fossilizzarla a Orlando e Rinaldo, ma bisognava rigenerarla con linfa nuova, soprattutto con nuovi testi e soggetti. E' la rivoluzione di Cuticchio: l'attore in scena assieme al suo strumento. Una rivoluzione che ha fatto il giro del mondo. Cuticchio l'ha raccontata con la semplicità di chi dormiva "trispiti e matirazza" nelle case-teatro dei paesini della Sicilia dove la sua famiglia girovagò fino a tornare definitivamente a Palermo negli anni 60, di chi muoveva, bambino, il "pianino a cilindro" che segnava la scansione musicale delle sceneggiate, ed ora è approdato con tutti gli onori sulla grande scena internazionale.
  "Nessuna tradizione resta solo quel che era. Oggi vive di nuove idee e innovazioni, segno della sua vivacità", ha detto pacata Jeanne Vibaeck che gestisce il Museo internazionale delle Marionette di Palermo che fu fondato da Antonino Pasqualino a Piazza Marina, e sempre in quei dintorni resta.
  Una resistenza ad oltranza quella dei pupari, nei confronti della modernità fatta di immagini ed esteriorità. Quella di Antonino Amico, figlio di Pasqualino, che per rappresentare a casa sua per le sue figlie, reinventò il modello del burattino, riducendolo a 65 centimetri. Un modello da trasportare ovunque e in valigia, una scelta, una soluzione pratica. "Non più ninnolo o folklore - ha esclamato con foga da cantastorie - il pupo è attore, non un monumento".
  Nulla a che spartire ovviamente con i due pupi esposti dai fratelli Insanguine e posti a mo' di emblema della manifestazione: due esemplari dei primi del '900, compatti e luccicanti, quasi ad altezza naturale; rappresentazione di un'arte e perizia da conservare, questi sì, ed ammirare in luoghi aperti al grande pubblico. E mentre Italia Chiesa Napoli, 83 anni, raccontava di come divenne la voce femminile dei personaggi mossi dal marito Natale, rabbrividendo la platea con accorato appello di Alda a Orlando: "Non mi lasciare!", Donata Amico, Iolanda Scelfo e Sarah Zappulla Muscarà allargavano le prospettive sulla complessità e trasversalità dell'"Opra", profondità e picchi letterari da cui trasse le mosse lo steso Pirandello.
  Questo mondo rappresentò per generazioni di ragazzi "l'unico punto di riferimento", come ha ricordato il vicedirettore del quotidiano "La Sicilia", Domenico Tempio, fortuna che l'Unesco nel 2001 l'ha riconosciuto "bene immateriale dell'Umanità ".
  "Noi non chiediamo elemosine né spiccioli - ha riassunto la Vibaeck Pasqualino - Noi desideriamo stabilità per un patrimonio mondiale che essuno potrà mai più cancellare". E nemmeno gettare nel dimenticatoio della storia.