I paladini, cavalieri con la brunia (1)


    Eccomi in Francia, la sontuosa e fascinosa Patria di Laforgue, di Ponson du Terrail, dei fratelli Montgolfier. E della Chanson de Roland, il poema da cui tutto ha avuto inizio: la storia dei pupi siciliani, la storia dei pupari.
    Ma niente m’interessa, né i poeti, né l’arte, né le invenzioni. Ho una sola meta, una sola tappa: Parigi, e lì il museo all’interno dell’edificio chiamato “Hôtel des Invalides”.
    Ho trascorso intere giornate seduto ai tavoli di lettura delle più importanti biblioteche Europee alla ricerca di un indizio sicuro, di una iconografia datata in maniera certa.
    Adesso, il costruendo museo delle armi, è il posto adatto per fugare ogni dubbio. Oggi, la ricerca si può concludere con una certezza inattaccabile.

    Giro a lungo per le sale, cercando di frenare l’impazienza.
    Dappertutto ci sono armi e armature.
    Scorgo un cannone napoleonico, in un angolo, con una piccola piramide di palle di cannone. Tutto grida guerra. Basta chiudere gli occhi un attimo e si ha l’impressione di essere catapultati in una guerra antica. Eserciti contrapposti, scoppi di granate o colpi di fucile, duelli all’arma bianca.
    E vicino, anzi dentro lo stesso stabile, la tomba di Napoleone!

    Attraverso la sala Francesco I che espone, in bella mostra, la ricca armatura equestre del re francese. E poi, disposti ad effetto, i manichini a cavallo (in fiero atteggiamento militare) raffiguranti la guardia reale del re Carlo X.
    Ecco la vetrina che mi interessa, ancora in allestimento. Ecco l’armatura, ecco il cavaliere con la brunia. Ecco la verità.
    Brunia (brogne o broigne) era chiamata l’armatura che indossavano i cavalieri di Carlo Magno.
    Erano giubbe di cuoio ben imbottite all’interno. All’esterno erano rivestite di scaglie metalliche. Erano così militarmente efficaci che Carlo Magno ne limitò il commercio e proibì l’esportazione. (2)
    Furono queste scaglie - e l’aiuto di Dio - a salvare Oliviero nel combattimento con Margariz a Roncisvalle. La lancia del pagano scivolò sulle scaglie senza entrare in profondità. (3)
    Dunque, erano queste le vere armature dei Paladini di Francia e non certo quelle rinascimentali che ammiriamo durante gli spettacoli dell’opera dei pupi. Quanta differenza!.
    L’antica armatura che sto osservando è completata da un elmo di forma conica.
    Pongo una precisa domanda al mio esperto accompagnatore.
    "Quando venne introdotta la celata negli elmi?"
    Risponde immediatamente.
    Per sicurezza, mi faccio ripetere la risposta.
    Quinzième siècle.
    La risposta non ammette errori o fraintendimenti.
    Ecco l’altra verità. Gli elmi francesi, al tempo di Carlo Magno, non potevano avere la celata mobile che venne introdotta solamente secoli più tardi.
    Quello che ho davanti, di corredo all’armatura con la brunia, infatti, è un elmo completamente aperto e presenta un semplice nasal, un coprinaso!
    Le armature dei Paladini che calcano i palcoscenici siciliani e napoletani sono, dunque, di tutt’altra epoca che quella giusta.
    Armature ed elmi con la celata sono completamente errati, di epoca posteriore.
    Lo sanno i costruttori dei pupi, lo sanno i pupari, lo sanno gli spettatori?
    Sotto quell’armatura con la brunia e quell’elmo aperto, immagino Orlando, Oliviero, Astolfo, Turpino, tutti e dodici i paladini e i cavalieri francesi.
    Un grido sembra ancora risuonare da quella armatura: Monjoie. Il grido gioioso della gioventù di Francia morta a Roncisvalle. (4)
    Chiudo gli occhi per imprimermi nella mente l’immagine di quell’armatura che mai vedrò al teatro dei pupi.
    Ci vorrebbe un angelo per cambiare le vecchie ed errate armature, per rivestire i pupi di brunie. Ci vorrebbe un angelo, come quello che si palesò a Rinaldo nella parte finale della Storia dei Paladini di Francia di Giusto Lodico. Conosco il passo a memoria: ”Perché altri non potrà fornirti di buona armatura ecco la tua, che per comando di Dio ho tolto a Raimondo scambiandola per altra a questa somigliante”.

    In treno, sulla via di ritorno in Sicilia, apro la grande valigia da viaggio.
    Prendo la copia della Chanson de Roland, rileggo qualche passo. Sono letteralmente innamorato di questo poema.
    Tra meno di due settimane il giornale per il quale lavoro uscirà (e proprio il 15 agosto!) con un numero speciale tutto dedicato alla battaglia di Roncisvalle.
    Sarà il 1.120° anniversario della tragica battaglia.
    Ho tempo per pensare all’articolo da scrivere, mentre questo serpente d’acciaio mi riporta a casa. Ricordandomi un altro serpente lucente: la schiera dei cavalieri francesi mentre si avviavano al passo di Roncisvalle.
    Ho tempo per pensare.
    Ma cosa scrivere?
    D’ora in poi, quando assisterò a qualche spettacolo dell’opera dei pupi, penserò: “Ecco Orlando, ecco il cavaliere con la brunia”.
    E speriamo che i pupari accolgano il mio invito, la mia precisa preghiera che lancerò dalle pagine del giornale: tenete sempre sollevata la celata degli elmi dei Paladini. Permetteteci di ammirare i loro fieri volti.

2 agosto 1898

1) Curiosamente brunia è parola di derivazione araba presente nel dialetto siciliano. Significa vaso, per lo più per alimenti.
2) La brunia venne usata anche dai fanti dell’esercito di Carlo Magno. Ne è testimonianza il fante (pedone) degli scacchi della cosiddetta scacchiera di Carlo Magno (Musée des monnaies, médailles et antiques, Parigi, Francia).
3) “Margariz sprona il cavallo e raggiunge Oliviero. Con un colpo di lancia gli rompe lo scudo, la punta scivola sul costato. Ma Dio non permette che la lancia perfori il corpo. L’asta si spezza. Oliviero è salvo”. (Lassa CIII - libera traduzione dell’autore da La Chanson de Roland). Ma nulla riuscì a fare l’armatura di lì a poco, quando il perfido Marganice lo colpì alle spalle. La lancia gli perforò l’osberc (l’usbergo, la brunia) penetrandogli nel costato. Oliviero capisce d’essere stato colpito mortalmente. Estrae la sua spada, Altachiara, e abbatte il pagano. (come nel racconto della Lassa CXLV e seguente. - libera traduzione dell’autore da La Chanson de Roland).
4) La spada di Carlo Magno, che cambiava colore trenta volte al giorno, era chiamata Joiuse. Nell’elsa dorata era incastonata la punta della lancia di Longino. Da Joiuse (gioiosa) i cavalieri francesi trassero il loro grido di battaglia: Monjoie.


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